mercoledì 10 dicembre 2008

Siamo noi gli artefici del nostro destino


Nei momenti felici il ritmo cardiaco diminuisce, la chimica del corpo e il sistema immunitario migliorano, ecco spiegato, scientificamente, perchè chi è felice non si ammala.
Essere felici significa essere in contatto con quello che siamo veramente.
Fondamentale è che non è un obiettivo da raggiungere, ma un percorso.
Spesso erroneamente la cerchiamo in qualcosa al di fuori di noi, mentre noi abbiamo tutto quello che dobbiamo avere per essere felici, come la libertà interiore.Non è l'obiettivo, ma il come la si realizza che è vera felicità.E non dobbiamo assolutamente invidiare qualcun altro, perchè non sappiamo come è stata la sua esistenza.Ognuno vive la propria vita, senza esibire la propria gioia, cercando consensi, l'essere è essenziale, mentre l'apparire è superficialità sterile, non si vive attraverso l'opinione degli altri.
Bisogna anche sapersi fermare al momento giusto, non volerci cibare di tutto, esser meno presenzialisti e non strafare.
Moderazione, non accontentarsi, ma capire in ogni istante quello che veramente va bene oppure no per noi.Bruckner dice che il segreto di una vita felice è infischiarsene della felicità:non cercarla mai in quanto tale, accoglierla senza mai chiedersi se è meritata; non cercar mai di trattenerla e non disperare per la sua perdita.La felicità non è una strada da seguire, ma un sentiero, spesso accidentato e ricco di imprevisti da affrontare.

LEGGI DELLA GESTALT

Quando si parla di percezione si finisce inevitabilmente a parlare della teoria della Gestalt o “teoria della forma”. Questa teoria prende il nome da una scuola strutturalista tedesca (Scuola di Berlino) che negli anni ’20 modifico lo sviluppo della psicologia. L’impostazione di questa scuola, infatti, si contrapponeva a quella dominante tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 definita “associazionistica” perché riteneva che la percezione di un oggetto fosse il risultato della associazione di elementi sensoriali distinti.
La nascita della psicologia della Gestalt si fa risalire esattamente al 1912, quando Max Wertheimer scrisse un articolo in cui identificava un processo percettivo unitario - da lui chiamato fattore "phi" - grazie al quale i singoli stimoli verrebbero integrati, nel soggetto, in una forma dotata di continuità. Ciò significava che quello che prima era stato considerato un processo passivo - il percepire - veniva ad essere pensato come qualcosa di gran lunga più attivo, come un’attività subordinata a certi principi organizzativi generali. Werthemeir sosteneva che non c’è corrispondenza diretta tra realtà empirica e realtà percettiva e che quindi per comprendere il fenomeno percettivo non bisogna partire dalla descrizione dei singoli elementi sensoriali ma dalla situazione percettiva globale perché la “forma non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di più, di diverso”.
La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi elementi in un “insieme organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura”, “pattern”).
Le modalità secondo le quali si costituiscono le forme sono state classificate e descritte come “leggi della forma” e sono state elencate da Wertheimer nel 1923 nel modo seguente:

1-
Legge della vicinanza: gli elementi del campo percettivo vengono uniti in forme con tanta maggiore coesione quanto minore è la distanza tra di loro.
Nel design di un’interfaccia possiamo utilizzare questo principio per rendere più chiara la struttura della pagina (divisione in paragrafi di un testo).
2-

Legge della somiglianza: gli elementi vengono uniti in forme con tanta maggior coesione quanto maggiore è la loro somiglianza.
Utilizzare elementi, colori o simboli che visivamente collegano un’informazione ad un’altra aiuta a rendere accessibile e facilmente navigabile anche un sito con grandi quantità di contenuti.

3-
Legge del destino comune: gli elementi che hanno un movimento solidale tra di loro, e differente da quello degli altri elementi, vengono uniti in forme.
In una configurazione tendono a unificarsi le linee con la stessa direzione od orientamento o movimento, secondo l’andamento più coerente, a difesa delle forme più semplici e più equilibrate.

4-
Legge della chiusura: le linee che formano delle figure chiuse tendono ad essere viste come unità formali.
La nostra mente è predisposta a fornire le informazioni mancanti per chiudere una figura, pertanto i margini chiusi o che tendono ad unirsi si impongono come unità figurale su quelli aperti
.
5-
Legge della continuità di direzione:una serie di elementi posti uno di seguito all’altro, vengono uniti in forme in base alla loro continuità di direzione.
Nella figura percepiamo come unità AB e XY e non AY e XB o ancora AX e YB.

6- Legge della pregnanza: la forma che si costituisce è tanto “buona” quanto le condizioni date lo consentono.
In pratica ciò che determina fondamentalmente l’apparire delle forme è la caratteristica di “pregnanza” o “buona forma” da esse posseduta: quanto più regolari, simmetriche, coesive, omogenee, equilibrate, semplici, concise esse sono, tanto maggiore è la probabilità che hanno d’imporsi alla nostra percezione.
7-





Legge dell’esperienza passata: elementi che per la nostra esperienza passata sono abitualmente associati tra di loro tendono ad essere uniti in forme.
Un osservatore che non conosce il nostro alfabeto non può vedere la lettera E in queste tre linee spezzate.(labwebdesign.wordpress.com)